Il legame tra la qualità dell’alimentazione e la salute è strettissimo, lo dicono gli scienziati ma ancor prima lo sperimenta facilmente ognuno di noi nel corso della vita. È una relazione, quella tra cibo e salute, che non riguarda solo l’essere umano, ma coinvolge piante, animali, habitat. Il pianeta intero.
Il peso del cibo che l’umanità consuma in più a quello veramente necessario, rendendoci sovrappeso o obesi, ammonta a 140 miliardi di tonnellate. Lo ha calcolato una ricerca dell’Università di Teramo e del Crea, il Consiglio di ricerca per l’agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Nutrition. Lo studio è partito dai dati forniti dalla Fao sulle quantità di ciascun prodotto consumato per regioni geografiche. Ne è emerso che tra le regioni Fao, quelle con il maggior “peso di cibo in più” rispetto alle reali esigenze degli abitanti sono Europa, Nord America e Oceania. Come spiega Mauro Serafini, docente di alimentazione e nutrizione umana dell’Università di Teramo, è fondamentale agire sulle persone, perché se queste diventano obese o mangiano troppo, fanno un danno anche al pianeta.
Quando il cibo danneggia il pianeta
Mangiare più del necessario, non porta solo a sviluppare patologie, ma determina anche un costo in termini ambientali, dovuto, ad esempio, allo sfruttamento delle risorse e del suolo, alle emissioni in atmosfera provocate dalla produzione del cibo, alla perdita di biodiversità. Se a questo aggiungiamo che l’attuale sistema alimentare mondiale è basato sull’agrochimica e sull’allevamento industriale, responsabili di avvelenare la terra e l’acqua con sostanze di sintesi e di incidere fortemente sui cambiamenti climatici attraverso le proprie emissioni in atmosfera, capiamo quanto sia facile che la salute di persone e ambiente ne risulti compromessa. Qualche esempio? I ricercatori dell’Università olandese di Wageningen hanno raccolto campioni di terreno in dieci stati europei e rilevato tracce di fitofarmaci nel 66 per cento dei casi (soprattutto glifosato, ddt e prodotti fungicidi). In Italia, l’Ispra ha rintracciato residui di 259 agrotossici nel 67 per cento delle acque superficiali e nel 33,5 per cento di quelle sotterranee. L’uso indiscriminato di prodotti chimici di sintesi in agricoltura hanno causato nel mondo l’impoverimento dei terreni e la loro desertificazione, la decimazione delle api, aumentando l’incidenza di varie malattie tra cui alcuni tipi di tumore.
L’antidoto c’è, si chiama agroecologia
Un approccio territoriale e agricolo nuovo che fa bene all’ambiente ed è in grado di offrire grandi opportunità sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici esiste: è l’agroecologia. Mette insieme conoscenze tradizionali e scientifiche, applica approcci ecologici e sociali all’agricoltura, si concentra sulla relazione esistente tra piante, animali, esseri umani e ambiente. Secondo la stessa Fao, il vecchio modello agricolo basato sulla chimica di sintesi e le monocolture non è più sostenibile perché non risolve il dramma della fame nel mondo e danneggia l’ambiente. L’agroecologia è la soluzione che può portare molteplici benefici. Il passaggio dall’attuale modello di agricoltura industriale a quello dell’agroecologia prevede l’eliminazione progressiva dei fertilizzanti chimici di sintesi e dei pesticidi nei campi, la ridistribuzione di praterie naturali e l’ampliamento di infrastrutture naturali come siepi, alberi, stagni, pietraie. “L’agroecologia offre benefici multipli”, ha detto José Graziano da Silva, Direttore Generale della Fao “per la sicurezza alimentare e la resilienza, per rafforzare i mezzi di sussistenza e le economie locali, per diversificare la produzione alimentare e le diete, per migliorare la fertilità e la salute dei suoli, per aiutare ad adattarsi ai cambiamenti climatici e a mitigarne gli effetti, oltre a contribuire a preservare le culture locali e i sistemi di conoscenze tradizionali”.
A Siamo fatti di terra l’agroecologia è protagonista
Quando si parla di cibo e salute e di cibo e ambiente l’anello di congiunzione è senza dubbio l’agroecologia, che protegge entrambe. Se ne è lungamente parlato a Bologna nel corso della prima tavola rotonda organizzata da Alce Nero, a cui seguiranno altri appuntamenti, nella cornice del progetto Siamo fatti di Terra, che nasce con lo scopo di riflettere su questi temi, unendo agronomi, nutrizionisti e ricercatori per approfondirne i contenuti e poi divulgarli. Spiega il professor Giovanni Dinelli del dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna: “Il progetto GreatLife, che vede coinvolti Università di Bologna, Kilowatt e Alce Nero, nasce per fare educazione, cioè per insegnare o far riscoprire ai contadini i principi dell’agroecologia, come l’importanza di non ricorrere alla monocoltura e di utilizzare mescolanze di varietà di sementi. Uno degli approcci migliori contro il riscaldamento globale perché questi ‘miscugli’ si adattano meglio ai cambiamenti. Una delle parole chiave, dunque, è proprio agroecologia, ovvero la sua riscoperta per riuscire a maneggiare, poi, anche tecnologie come l’agricoltura di precisione. Per tutto questo ci vuole conoscenza e responsabilità”. E conclude: “Il progetto è un pretesto per portare gli agricoltori a reimparare le norme base dell’agricoltura ed usare la tecnologia in modo corretto. Oggi serve conoscere le norme che i vecchi agricoltori conoscevano benissimo e sono state spazzate via. Coltivare sorgo e miglio nell’ambito del progetto GreatLife è un pretesto per riportare i contadini alla rotazione delle colture, una delle norme di base in agricoltura. La resilienza la facciamo mettendoci insieme, anche facendo una cosa piccola ma riproducibile. Stiamo già coltivando, il progetto è iniziato e cerchiamo di rieducare gli agricoltori all’agroecologia, utilizzando però anche le conoscenze tecnologiche più moderne”.