Un martedì mattina come tanti. Un martedì d’estate che inizia come al solito preparandomi per andare in studio, tra mille pensieri, cercando di organizzare mentalmente la giornata e visualizzare i progetti creativi su cui sto lavorando. Improvvisamente mi blocco: faccio fatica a mettere a fuoco i pensieri, tutto mi sembra troppo. Mi rendo subito conto che ho bisogno di staccare la spina, di ricaricare le pile e ho bisogno di farlo con qualcosa di diverso. Mi guardo allo specchio e mi dico: “bene venerdì si va al mare in bici”. Poi, preso da un attacco di eccessivo realismo, mi dico: “non sei allenato per fare 105 km al caldo di luglio”, ma, come sempre, dopo un secondo ho già abbandonato i dubbi lasciando spazio all’istinto e all’entusiasmo. Voglio provarci. Quante volte ho affrontato la bici senza allenamento per il solo gusto di partecipare. Tanto, poi, la regola rimane sempre la stessa: la bici ti sa restituire molto di più di quello che pensi, quando credi di crollare dalla fatica ecco che appaiono le più belle emozioni.
Andare in bici significa anche imparare dalla fatica. Capisco allora che per ricaricarmi, ho necessità di recuperare il contatto con il mio IO più vero, quello che ama la natura, quello a cui piace pedalare faticando tra silenzio e natura. Da martedì, giorno dell’idea, al giovedì sera prima della partenza mi organizzo al meglio che posso incastrando tutti gli impegni di lavoro. In questo modo riuscirò ad avere il venerdì tutto per me, per partire presto e raggiungere la mia famiglia che mi aspetta a Cesenatico. Non so quanto ci metterò, ma voglio partire presto perché ho troppa voglia di vederli! Finalmente il venerdì arriva. Punto la sveglia alle 6, ma mi sveglio prima io: ho una carica esagerata. Colazione importante, come si conviene prima di affrontare la fatica, composta da ottimo pane, burro e marmellata biologica all’albicocca e una bella tazza di caffè. Sembra la mattina perfetta, fino a quando non controllo le mail. Lavorare in proprio ti permette di gestire il tuo tempo, ma ha il rovescio della medaglia che quando c’è un problema non puoi delegare ad altri. Devo per forza passare in studio per sistemare un’urgenza. Alle 11 sono ancora seduto al computer, già vestito in completo da bici e scarpini, ma bloccato. Poi finalmente la matassa si sbroglia, sono le 11:45 e finalmente sono in sella verso il mare: Bologna _ Cesenatico. Pedalo lungo gli Stradelli Guelfi verso la bassa romagnola e sento già che sarà qualcosa di unico.
Non è certo l’impresa della vita, ogni fine settimana tanti ciclisti lo fanno, ma è la mia impresa, conta solo questo. Mi lascio la città alle spalle con il suo traffico e i suoi rumori ed entro in una dimensione tutta mia. I pedali frullano veloci, ho voglia di andare, di sentire il vento in faccia. Riabbraccio la campagna. Quella campagna estiva fatta di luce accecante che solo in estate puoi quasi toccare. Riavverto quelle sensazioni di 30 anni fa, quando da bambino correvo tra il caldo torrido dei campi di grano. Forse solo la natura può riaccendere gli stessi ricordi da dodicenne nel corpo di uno di quarantadue. Forse solo la natura sa farci ritornare bambini con così tanta efficacia. Mi sento consolato e rinfrancato dall’abbraccio di questi ricordi e dal provare queste sensazioni. Il mio umore è già migliore. Nonostante non sia l’ora ideale per pedalare l’aria non è così calda, mi accorgo che ho già percorso 40 km in tutta facilità, ne mancano ancora circa 70. Sono già lontano da tutti i pensieri e dalle preoccupazioni eccessive, sto riprendendo contatto con il mio corpo e la nebbia che mi offuscava la mente piano piano si sta dipanando. Bellissimo attraversare paesi apparentemente addormentati, Bubano, Mordano, Bagnara di Romagna e ancora Cotignola e San Pietro in Vincoli, pianure meravigliose in cui il suono delle cicale diventa assordante e i rettilinei sono interminabili. Vado al mio ritmo, quando sento la necessità mi fermo all’ombra di un albero. Mi regalo due minuti per mangiare un frutto in uno dei tanti frutteti a bordo strada (il contadino mi perdonerà, ma come si fa a non addentare una bella pesca al sole distesi sull’erba fresca).
Adesso capisco che non ha senso avere fretta, l’unico tempo che voglio rispettare è quello che detta il mio corpo. Ho una voglia matta di vedere mia moglie, i miei figli: il pensiero che siano sereni ad aspettarmi mi riempie gambe e polmoni di energia. Non ho una traccia vera e propria da seguire, mi oriento seguendo paese per paese. Passati i 50km da Bologna, inizio a sentire la fatica. Qualche km di affanno poi all’improvviso la fatica passa in secondo piano. “Prendo definitivamente il passo”, così si chiama in gergo ciclistico quando entri in un quel magico equilibrio che ti fa pensare di poter rimanere in bici per ore: faticare diventa un reale piacere. I km passano e vedo davanti a me le Saline di Cervia, ancora 10/12 km e sarò arrivato. Da lì a poco, vedo il cartello d’ingresso a Cesenatico e comincio a provare quella carica tipica del ciclista in testa alla Roubaix che entra per il giro di pista finale all’interno del velodromo. Vedo in lontananza il Bagno Adriatico dove “taglio il traguardo” come avessi vinto una tappa del Giro d’Italia, acclamato dalla mia famiglia e dai miei amici, un trionfo. La mia piccola grande impresa personale è compiuta. Fatica, silenzio e paesaggi. Grazie bici.