Gli incendi in Siberia, i ghiacci dell’Artico che si sciolgono, le temperature sempre più elevate e gli eventi atmosferici devastanti. Mentre la crisi climatica ci pone di fronte alle conseguenze di ciò che per troppo tempo abbiamo preferito ignorare, un movimento che guarda alla Terra e alla natura con occhi diversi si sta diffondendo. Sta finalmente prendendo davvero piede una visione del mondo, diciamo così, biologica? “Io credo che stia aumentando la consapevolezza dell’importanza dell’ambiente e di quello che comporta averne rispetto. Poi, ovviamente, c’è che chi continua a non voler vedere tutti i cambiamenti in atto, nonostante le conseguenze siano davanti agli occhi di tutti”, spiega Eleonora Grilli, tecnico agronomo de La Cesenate. “Noi che lavoriamo nell’agricoltura li vediamo chiaramente: ogni volta che piove c’è il timore di una pioggia distruttiva. Ormai l’intensità è così forte, accompagnata da grandine e con millimetri d’acqua scaricati dal cielo in tempi brevissimi, che ciò che un tempo era desiderato, considerato vitale, ora fa paura”.
A compromettere questo equilibrio ci hanno pensato anche le coltivazioni industriali, causando un eccessivo consumo di suolo e dimenticando quei principi base che, oggi, si cerca di recuperare attraverso il biologico.
È un metodo di coltivazione che ha come obiettivo principale il rispetto dell’ambiente e del territorio, ma anche dell’acqua e dell’aria. Si punta a preservare le caratteristiche e la fertilità naturale del terreno, generando un minore impatto ambientale e migliorando le condizioni dell’ambiente in cui si opera. Vogliamo favorire la biodiversità, apportando sostanze organiche e utilizzando solo concimi naturali che favoriscono la fertilità del terreno, laddove invece la coltivazione industriale utilizza sostanze chimiche o che sono estranee all’ambiente naturale. E che per assurdo rendono il terreno sempre più povero, inquinando anche l’acqua.
Nel biologico c’è tutto un aspetto relativo alla rotazione e al riposo che, nell’industria agroalimentare, è stato per lungo tempo dimenticato e oggi sta venendo riscoperto: perché è importante?
L’agricoltura biologica prevede una rotazione dei terreni: non si semina sempre la stessa coltura di anno in anno, ma se ne piantano invece di diverse, che possano apportare al terreno caratteristiche migliorative dal punto di vista sia della fertilità, sia della sua struttura. Per esempio, se un primo anno pianti il pomodoro, il biologico prevede che nei tre anni successivi si succedano colture, tra cui quella leguminosa, che contribuiscono alla fertilità del terreno e che portino naturalmente azoto. Questo serve anche a non accumulare quei parassiti e quei patogeni tipici di una certa coltura.
Ma sarebbe possibile convertire tutte le colture a queste pratiche sostenibili?
Produrre biologico è strettamente legato alle caratteristiche differenti di ogni territorio. Se una valle è umida e poco ariosa, è molto difficile avere colture biologiche, perché in un ambiente di questo tipo ci sarà un proliferare di malattie fungine che saranno difficilmente debellabili con metodi preventivi. Noi tendiamo a proteggere le colture, ma quando avviene un’infezione favorita da particolari condizioni ambientali hai ben poche possibilità di curare quella pianta. Per una produzione biologica è necessario partire da un ambiente adatto e puntare su varietà resistenti a parassiti e ai patogeni. Per questo è importante coltivare varietà particolarmente rustiche, che si difendono da sole. È il caso delle varietà antiche, che non hanno bisogno di essere assistite perché hanno naturalmente messo a punto sistemi di difesa a condizioni climatiche avverse, a parassiti e patogeni.
Con la riscoperta delle varietà antiche si è anche valorizzato un patrimonio del territorio italiano che rischiava di andare perduto…
Sono varietà legate a specifici territori, che si sono sviluppate nel corso dei decenni e hanno messo a punto tutta una serie di adattamenti a un territorio tipico. Riscoprirle è stato un processo positivo: sono una ricchezza che mostra come l’Italia sia naturalmente molto diversificata di zona in zona. Ogni area ha i suoi prodotti tipici. E poi sono state riscoperte anche per le loro caratteristiche in termini di sapore. In un’agricoltura di tipo industriale, l’obiettivo è avere prodotti che siano belli sugli scaffali e quindi appetibili per il consumatore. Ma questo avviene a scapito del sapore, visto che – per esempio nel caso della frutta – il raccolto avviene prima della completa maturazione penalizzandone la bontà. La priorità è stata data all’alta produttività e all’aspetto estetico, facendo per assurdo passare in secondo piano il sapore; al punto che vengono scartati frutti solo perché presentano delle minime imperfezioni.
Noi umani siamo parte integrante del ciclo della vita biologico. Eppure tutti i concetti che ne sono alla base – per esempio riposo ed equilibrio – sembrano esserci sempre più estranei.Come potremmo definire un modo di vivere biologico?
Inevitabilmente è un modo di vivere legato alla natura. Ho l’impressione che molte persone, soprattutto negli ultimi anni, sentano il bisogno di riprendere un po’ il contatto con quello che è lo scorrere del tempo, delle stagioni. È una consapevolezza che sta crescendo, soprattutto nei giovani che si rendono conto dell’importanza di recuperare ciò che abbiamo abbandonato: un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente, la produzione delle proprie cose. È difficile parlarne, è una sensazione che va sperimentata e vissuta.